Nostalgia del Padre…(1996)

Se esistere significa ritornare alla casa familiare, se archetipo di questo ritornare è il viaggio di Ulisse all’Itaca oppure, in fin dei conti, il camminare di Abramo e quello degli Ebrei nel deserto orientati verso la Terra Promessa che non è altro che la casa del Padre, Paolo Soro è un compagno la cui laboriosa convivenza con il bello ci aiuta ad entrare più profondamente all’interno del nostro essere e leggervi il nostro destino. Esso si compie nel dialogo della Promessa che ci chiama dalla lontana Itaca, anzi dalla Terra Promessa, e della nostra speranza con la quale rispondiamo alla Parola di Colui che lì ci aspetta. La scultura di Soro, riempiendo lo spazio in un modo proprio del bello che, provenendo dal di là dello spazio, trascende la geografia. Trascendendola, apre quella dimensione della realtà in cui l’uomo viene riconciliato con se stesso. Infatti, siamo noi stessi nella misura in cui ritorniamo alla casa familiare, indicata dal nostro cognome; la nostra identità si rivela nella nostra figliolanza. E il nostro primo cognome è quello in cui riflettendosi si rivela il Volto del Padre. Come esprimere la nostra identità che confina con il Divino? Come esprimere l’identità della persona il cui essere amore irripetibile è un uno che nella sua totalità ad-veniente parla dell’Uno Divino dove l’Amore è Pensiero e il Pensiero è Amore? Sono le domande che tormentano Paolo Soro. Allo stesso tempo, però, sgorga da esse l’acqua che ristora le sue forze quando, “stanco del viaggio” (Giov. 4, 6), siede presso qualche pozzo, aspettando il Samaritano che lo comprenderà e che compierà ciò che egli stesso ha solo vagamente abbozzato col pensiero e colla gradina. Paolo Soro ritorna alla casa paterna poeticamente, cioè mette in rilievo il bello che trasfigurando la materia ci avvicina a quel luogo da dove esso emana. Oserei dire che egli trasmette alla materia il proprio sognare l’Alterità. Ed è proprio questo sognare che rende bella la materia toccata dal pensiero e dalla mano di Paolo Soro. Ogni scultura di Soro racconta la storia che è la vita dell’uomo, la storia dell’amore e della sofferenza, la storia della figliolanza dell’uomo e, quindi, della Paternità e della Maternità di cui la nostra paternità e la nostra maternità non sono che immagini annebbiate; la storia in cui la morte, l’ultimo atto dell’amore filiale da compiere, inizia la vita nell’Uno finora da noi desiderato. Guardiamo ed ascoltiamo con attenzione questa opera non facile; questa parola ci aiuterà a comprendere meglio il nostro desiderio di essere sicché in questo viaggio sarà più facile per noi prendere la giusta direzione.